IMMUNITA’ CEREBRALE.

 

 

Chi abolì, nel 1993, l'immunità parlamentare? Perché? E per ordine di chi?

Secondo la ricostruzione del presidente del Consiglio, "le correnti politicizzate della magistratura, giusto dieci anni fa, imposero a un Parlamento intimidito e condizionato un cambiamento della Costituzione del 1948 che ha messo nelle loro mani il potere di decidere al posto degli elettori".

Ma, secondo le cronache parlamentari, le cose andarono ben diversamente.

Nessuna corrente o magistrato chiese l'abolizione di quel privilegio, che imponeva alle procure di chiedere il permesso alle Camere anche per poter aprire un'indagine su un parlamentare (permesso quasi sempre negato).

A chiederlo, all'indomani del rigetto delle autorizzazioni a procedere per Craxi, furono due mozioni: una firmata da Umberto Bossi, Roberto Maroni e Roberto Castelli.

L'altra da Gianfranco Fini, Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa.

Di quei sei, cinque sono oggi ministri del governo Berlusconi.

I tre leghisti parlavano di "inaccettabile degenerazione nell'applicazione dell'immunità parlamentare trasformata in immotivato e ingiustificato privilegio" con "conseguenze inaccettabili e aberranti" che vanno "eliminate" al più presto.

I tre missini scrivevano: "L'uso dell'immunità e soprattutto l'abuso del diniego dell'autorizzazione a procedere vengono visti ...come uno strumento per sottrarsi al corso necessario della
giustizia".

Il relatore della legge che abrogava l'immunità era Pier Ferdinando Casini che, il 12 maggio '93, disse alla Camera: "Il principio del princeps legibus solutus è medievale e quindi superato. Se vi è istanza di eguaglianza, quindi, essa deve riguardare in primo luogo gli autori della legge".

Il 12 ottobre la Camera approvò con 525 sì, 5 no e 1 astenuto.

Il 27 ottobre il Senato fece altrettanto con 224 sì, nessun no e 7 astenuti.

(m.trav.)

Ricevuto 1/2 e-mail da Michele Ferraris