Afghanistan,
l'anno zero di una tragedia
In
una vita spesa in giro per i luoghi del mondo in tumulto non avevo mai
visto niente di simile. Sembra uno scorcio di Dresda nel '45, contornata
da macerie anziché da strade, dove la gente vive in edifici crollati
come vittime di un terremoto in attesa dei soccorsi. Niente luce, solo
apocalittici fuochi che bruciano tutta la notte. Un grande cronista di
guerra per la prima volta a Kabul JOHN PILGER (da Il Manifesto del 19/10)
Alla conferenza del partito laburista dopo l'attacco dell'11 settembre,
Tony Blair fece il memorabile annuncio: «Al popolo afgano facciamo
una promessa: noi non ce ne andremo...se ci sarà un cambiamento
del regime dei taleban, lavoreremo insieme a voi per garantire che il
nuovo governo abbia la più ampia base di appoggio possibile, unisca
tutti i gruppi etnici e offra una qualche via di uscita dalla povertà
della vostra misera esistenza». Le sue parole riecheggiavano quelle
di Bush che alcuni giorni prima aveva detto: «Il popolo afgano oppresso
imparerà a conoscere la generosità dell'America e dei suoi
alleati. Mentre bombarderemo obiettivi militari, lanceremo anche cibo,
medicinali e altro per gli uomini, le donne e i bambini dell'Afganistan
che stanno soffrendo e morendo di fame. Gli Stati uniti sono amici del
popolo afgano». Quasi ogni parola detta era falsa. Le loro dichiarazioni
di impegno erano crudeli illusioni che servivano a spianare la strada
per la conquista sia dell'Afganistan che dell'Iraq. Mentre si chiarisce
la natura illegale dall'occupazione angloamericana dell'Iraq, il disastro
dimenticato dell'Afganistan, la prima «vittoria» della «guerra
al terrorismo», è forse un tributo al potere ancora più
scioccante.
Era la mia prima visita in Afghanistan. In una vita spesa in giro per
i luoghi del mondo in tumulto non avevo mai visto niente di simile. Kabul
è uno scorcio di Dresda nel `45, contornata da macerie anziché
da strade, dove la gente vive in edifici crollati, come vittime di un
terremoto in attesa dei soccorsi. Niente luce né riscaldamento:
solo apocalittici fuochi che bruciano tutta la notte. Quasi non c'è
muro in piedi che non mostri le ferite di tutte le possibili armi da fuoco.
Automobili giacciono rovesciate sulle rotatorie. I pali elettrici che
dovevano servire per una moderna flotta di tram sono accartocciati come
fogli di carta; gli autobus, accavallati uno sull'altro, ricordano le
piramidi di macchine erette dai Khmer rossi per celebrare l'Anno zero
(del loro regime ?).
C'è una sensazione da Anno zero in Afganistan. I miei passi risuonano
in quello che fu un tempo il grandioso Dilkusha palace, costruito nel
1910 su progetto di un architetto inglese, celebrato per gli scaloni circolari,
le colonne corinzie e gli affreschi su pietra di biplani. Ora è
una carcassa tenebrosa da cui emergono come fantasmi bambini esili come
giunchi, offrendo cartoline ingiallite dell'albergo com'era trent'anni
fa, un pretenzioso edificio in fondo a un viale che avrebbe potuto essere
una replica del Mall londinese, addobbato di bandiere ed alberi. Sotto
la curva dello scalone c'erano il sangue e i brandelli di carne di due
persone saltate in aria per una bomba il giorno prima. Chi erano? Chi
aveva messo la bomba? In un paese in balia dei signori della guerra, molti
dei quali conniventi con il terrorismo, la domanda è surreale.
Poco lontano, uomini con tute blu avanzano rigidi in fila indiana: sono
sminatori. Qui le mine sono comuni come i rifiuti e si calcola che uccidano
o mutilino una persona ogni ora, tutti i giorni. Di fronte a quello che
era il cinema principale di Kabul e che ora è uno scheletro art
deco, c'è una rotonda piena di traffico con manifesti che avvertono
che là intorno sono sparse bombe «gialle e provenienti dagli
Usa». I bambini ci giocano qui, rincorrendosi fra le ombre: un adolescente
li guarda, ha un troncone di gamba e gli manca metà viso. Nelle
campagne la gente confonde ancora i contenitori delle bombe a grappolo
con i pacchi gialli di generi di conforto lanciati dagli aerei statunitensi
quasi due anni fa durante la guerra, dopo che Bush aveva vietato ai convogli
di aiuti internazionali di entrare dal Pakistan.
Più di 10 miliardi di dollari sono stati spesi in Afganistan dal
7 ottobre 2001, in massima parte dagli Stati uniti e l'80% è servito
a pagare il bombardamento del paese e a foraggiare i signori della guerra,
ex-mujahedin auto-ribattezzatisi «Alleanza del nord». Gli
americani hanno dato a ciascun signore della guerra decine di migliaia
di dollari in contanti e camion carichi di armi. «Rifornivamo tutti
i comandanti che potevamo», ha dichiarato un agente della Cia al
Wall Street Journal durante la guerra. In altre parole, li pagavano perché
smettessero di combattersi fra loro e combattessero invece i taleban.
Erano quegli stessi signori della guerra che, in lotta per il controllo
di Kabul dopo il ritiro dei sovietici nel 1989, hanno ridotto la città
in polvere uccidendo 50.000 civili. Grazie agli Stati uniti, il controllo
effettivo del paese è stato consegnato a molti degli stessi mafiosi
e ai loro eserciti privati che comandano con il terrore, l'estorsione
e il monopolio del commercio dell'oppio da cui proviene il 90% dell'eroina
in vendita per le strade inglesi. Il governo post-talebano è meramente
di facciata: non ha soldi e il suo mandato arriva a malapena alle porte
di Kabul, nonostante le pretese di democrazia quali le elezioni programmate
per l'anno prossimo. Omar Zakhilwal, funzionario del ministero degli affari
rurali, mi ha detto che al governo arriva meno del 20% degli aiuti all'Afganistan
- «non abbiamo neppure abbastanza denaro per gli stipendi, figuriamoci
per la ricostruzione», ha detto. Il presidente Harmid Karzai è
un impiegato di Washington che non si muove se non accompagnato dalla
sua posse di guardie del corpo delle forze speciali Usa.In una serie di
rapporti eccezionali, l'ultimo pubblicato in luglio, Human Rights Watch
ha documentato le atrocità «compiute da banditi e signori
della guerra portati al potere dagli Stati uniti e gli altri membri della
coalizione dopo la caduta dei talebani nel 2001», sostenendo che
costoro tengono «fondamentalmente il paese in ostaggio». Il
rapporto denuncia l'esistenza di eserciti e truppe di polizia agli ordini
dei signori della guerra che rapiscono impunemente abitanti dei villaggi
tenendoli in prigioni non ufficiali in attesa del riscatto; denuncia inoltre
lo stupro diffuso di donne ragazze e ragazzi, estorsioni rapine e omicidi
arbitrari come pratiche di routine. Le scuole femminili vengono bruciate.
«Dato che un obiettivo dei soldati sono le donne e le ragazze»,
continua il rapporto, «molte non escono più di casa e non
possono andare né a scuola né a lavorare».A Herat,
una città nell'ovest del paese, ad esempio, le donne che guidano
vengono arrestate, non possono viaggiare con uomini che non siano loro
parenti, neppure su un taxi se l'autista non è un loro parente.
Se sono arrestate vengono sottoposte ad un «test di castità»
con spreco di servizi medici preziosi ai quali, sostiene Haman Rights
Watch, «le donne e le ragazze non hanno quasi accesso, specialmente
a Herat dove meno dell'1% delle donne partorisce con assistenza professionale».
Secondo l'Unicef il tasso di mortalità delle madri durante il parto
è il più alto del mondo. Herat è in mano al signore
della guerra Ismail Khan, pubblicamente approvato dal segretario alla
difesa Usa Rumsfeld «come persona accattivante....riflessiva, misurata
e sicura di sé».
«L'ultima volta che ci siamo visti in questo luogo», ha detto
Bush nel suo discorso sullo stato dell'unione dell'anno scorso «le
madri e le figlie dell'Afganistan erano prigioniere nelle loro case, impedite
di andare al lavoro o a scuola. Oggi le donne sono libere e fanno parte
del nuovo governo del paese. E noi diamo il benvenuto al nuovo ministro
agli affari femminili la dottoressa Sima Samar». Si alzò
una donna minuta, di mezza età, con una sciarpa sul capo e ricevette
un'ovazione molto coreografica. Samar, un medico che nel periodo dei talebani
si rifiutò di negare assistenza alle donne, è un vero simbolo
di resistenza e l'appropriazione untuosa che ne ha fatto Bush ha avuto
vita breve: in dicembre del 2001 Samar partecipò a Bonn alla «conferenza
di pace» sponsorizzata dagli Stati uniti dove Karzai fu installato
come presidente e tre dei più brutali signori della guerra come
vicepresidenti.
Non era ancora svanito l'eco dell'applauso che Samar fu infamata con la
falsa accusa di blasfemia e costretta a ritirarsi. I signori della guerra
che differiscono dai talebani solo per diversa appartenenza tribale e
ortodossia religiosa, non potevano ammettere il benché minimo gesto
di emancipazione femminile. Oggi Samar vive nel timore costante per la
propria vita, ha due terribili guardie del corpo con armi automatiche,
una davanti la porta dell'ufficio e l'altra al cancello esterno e si sposta
su un van con i vetri oscurati. «Non ho mai avuto una vita sicura
negli ultimi 23 anni», mi ha detto, «ma non ho dovuto mai
nascondermi o girare con scorta armata come sono obbligata a fare ora.....Certo,
è stata abolita la legge scritta che vietava alle donne di andare
a scuola e al lavoro e imponeva loro le regole del vestirsi, ma la realtà
è che neppure sotto i taleban c'era la stessa pressione nei confronti
delle donne che c'è ora nelle aree rurali».
Forse l'apartheid nei confronti delle donne è stata abolita legalmente
ma per il 90% di loro queste «riforme» non sono altro che
tecnicismi. Il burqa è diffuso ancora ovunque. Come dice Samar,
la condizione delle donne nelle campagne è spesso più disperata
ora di prima perché gli ultra-puritani talebani avevano la mano
molto pesante con gli stupri, gli omicidi e il banditismo. A differenza
di oggi, si poteva viaggiare sicuri in gran parte del paese.
In una fabbrica di scarpe bombardata nella parte ovest di Kabul ho visto
la popolazione di due villaggi ammassata e esposta sui pavimenti dei vari
piani, senza luce e con un unico rubinetto sgocciolante. Bambini piccoli
accovacciati attorno a fuochi accesi in terra vicino a parapetti mezzo
sbriciolati. Il giorno del mio arrivo un bambino è caduto ferendosi
gravemente. Pane bagnato nel tè è il loro pasto. Hanno nei
loro occhi chiari da civetta lo sguardo terrorizzato del rifugiato. Sono
fuggiti lì, mi dicono, perché i signori della guerra li
derubano costantemente e rapiscono le loro mogli figlie e figli che violentano
e restituiscono poi dietro pagamento del riscatto.«Sotto i talebani
era come vivere in una tomba ma eravamo sicuri», mi ha detto una
militante, Marina, «alcuni dicono che erano persino meglio loro,
a dimostrazione di quanto sia disperata la situazione oggi.
Le leggi possono anche essere cambiate ma le donne non osano uscire di
casa senza burqa, che indossiamo anche per proteggerci». Marina
è una dirigente dell'Associazione rivoluzionaria delle donne afgane
(Rawa), un'organizzazione eroica che ha tentato per anni di sensibilizzare
il resto del mondo sulle sofferenze delle afgane. Le donne di Rawa viaggiavano
segretamente per tutto il paese con macchine da presa nascoste sotto il
burqa. Hanno filmato l'esecuzione di un talebano e altri abusi e fatto
arrivare clandestinamente il video in occidente. «L'abbiamo portato
a vari media», dice Marina, «Reuters, Abc Australia, per esempio,
e tutti ci dicevano, certo, è bello ma non possiamo mostrarlo perché
troppo scioccante per il pubblico occidentale». Alla fine l'esecuzione
è stata trasmessa all'interno di un documentario da Channel 4.
Questo avveniva prima dell'11 Settembre 2001, quando Bush e i media Usa
hanno scoperto la questione delle donne in Afganistan.
Marina afferma che non c'è differenza con l'attuale silenzio dell'occidente
sulla natura atroce del presente regime dei signori della guerra sostenuti
dall'occidente. Ci siamo incontrati in modo clandestino e lei aveva il
viso coperto per non rivelare la sua identità: Marina è
un nome fittizio. «Due ragazze che erano andate a scuola senza burqa
sono state uccise e i loro corpi abbandonati davanti a casa loro»,
ha continuato. «Il mese scorso 35 donne si sono gettate in un fiume
con i loro bambini e sono morte per sfuggire a una battuta di stupri di
capimilizie. Questo è l'Afganistan, oggi; i taleban e i signori
della guerra dell'Alleanza del nord sono due facce della stessa medaglia.
Per gli Stati uniti si ripropone la storia di Frankenstein: crea un mostro
e il mostro ti si rivolterà contro: se non avessero costruito e
sostenuto i signori della guerra, Osama bin Laden e tutte le forze fondamentaliste
in Afganistan durante l'invasione sovietica, questi non avrebbero attaccato
il padrone l'11 settembre 2001».
(traduzione
Maria Luisa Moretti)
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